mercoledì 28 settembre 2016

Matteo Filippo Caldani: brigante fra i più sanguinari o pio e devoto eremita?

Gli americani ancora oggi scriverebbero "Most Wanted" (n.d.r:fra i
più ricercati) e magari aggiungerebbero anche "dead or alive" (vivo o morto). Loro ci sono abituati dai lontani tempi del Far West a metter taglie milionarie sulla testa dei manigoldi di turno, sono passati dal bandito Billy the Kid nel 1870 sul quale pendeva sulla propria testa una taglia di 500 dollari e sono arrivati fino all'attuale capo del proclamato stato islamico Abu Bakr Al Baghdadi, dove si dice che sarebbero pronti a sborsare ben dieci milioni di dollari a chiunque sappia fornire notizie decisive per la sua cattura. Ma in Garfagnana le taglie le mettevamo molto prima dei cari amici a stelle e strisce e tanto per rimanere nell'attuale l'Al Baghdadi di Garfagnana e Lunigiana nel finire del remoto 1500 era il brigante Matteo Filippo Caldani, è uno fra i briganti meno conosciuti nella nostra valle poichè non tipicamente garfagnino, il suo quartier generale era nei pressi dei paesi di Aiola, Ugliancaldo e Monte dei Bianchi, per meglio capirsi nella valle lunigianese del torrente Lucido, una zona di confine appunto fra Lunigiana e Garfagnana, scelta ad hoc dal brigante stesso e dalla sua banda perchè per queste disagevoli strade passava la famosa via Francigena, strada di
transito di nobili, pellegrini e commercianti di ogni sorta. Le sue scorribande colpivano senza distinzione sia la Lunigiana che la Garfagnana stessa e per questo sia il ducato di Modena,la Repubblica
di Lucca e la stessa città di Firenze misero ben presto una taglia su Matteo Filippo Caldani considerato uno dei banditi più sanguinosi di tutta la Toscana. Nel suo curriculum non mancavano furti, percosse e violenza di ogni genere che talvolta sfociavano anche nel sequestro di persona. Ma la fama non la raggiunse certo per le nefandezze perpetrate, al tempo i briganti di Garfagnana e non, depredavano indistintamente con cattiveria inaudita tutti alla solita maniera. La sua storia però è ben diversa ed è una vicenda che prende nello stesso tempo la strada della leggenda e della devozione. 
Il Pizzo d'Uccello sulle Apuane
rifugio di Matteo Filippo Caldani
Un giorno il malfattore ebbe l'occasione di rapinare dei suoi preziosi anche un emerito ecclesiastico che passava con il cavallo per quelle ombrose selve. Dopo averlo "ripulito" dei suoi averi legò lui e la sua servitù agli alberi vicini e decise soddisfatto del bottino ottenuto di tornare al suo nascondiglio nelle scoscese del Pizzo d'Uccello. Nel cammino in località Pontevecchio fu attratto dal suono di una campanella, il leggiadro suono proveniva da una chiesetta, dette così ordine ai suoi masnadieri di fermarsi e furtivamente si avvicinò alla porta della chiesetta, vide dei bambini che stavano cantando un ode alla Madonna, d'un tratto a tale immagine la sua anima si turbò, la vita gli scorse davanti agli occhi, rivide tutte le sue malefatte e la sofferenza delle sue vittime e si interrogò se la sua esistenza fosse giusta. Riprese sconvolto e impensierito la sua strada e ad un tratto uno spaventoso temporale colpì lui e la sua banda, i tuoni squarciavano il cielo e sinistri bagliori si intravedevano in lontananza, giunti alla maestà di Vezzanello sotto la pioggia battente il bandito sciolse la sua banda, licenziò servi e compagni di ventura e ognuno prese la sua strada. Una volta rimasto solo, con un colpo sul fondoschiena allontanò il cavallo con ancora in groppa lo scrigno pieno di preziosi che era stato appena rubato, nello stesso istante si levò di tasca la chiave del piccolo forziere e la gettò nell'impetuoso fiume sottostante dicendo: - Sarà più facile ritrovare questa chiave che salvare la mia anima...- . Guadò a piedi il fiume, si inerpicò sul Monte San Giorgio e cominciò a fare vita da eremita. Le sue giornate le trascorreva in meditazione, si cibava solamente di bacche e castagne e mentre d'estate il posto era soleggiato e ben accogliente, l'inverno violente bufere colpivano il monte mettendo a dura prova l'ex brigante. Nel frattempo la saggezza e la fama di questo eremita crebbe a dismisura, tanto che da tutte le Apuane la gente saliva fino sul monte per conoscere quello che ora era un pio uomo. La vigilia di Natale successe tuttavia un fatto eccezionale,
L'eremita
un pescatore, nel fiume ai piedi dell'eremo, catturò una trota di grandezza spropositata, a tale pesca miracolosa egli pensò bene di donarla al povero eremita e quando gli portò il pesce successe il miracolo: nel ventre fu ritrovata la chiave dello scrigno gettata nel fiume anni prima. Questo fu il segno che oltre al perdono degli uomini era arrivato anche il perdono di Dio. Il mito vuole ancora che lungo la strada che sale a Ugliancaldo, da qualche parte sia nascosto ancora il tesoro che rubò il brigante proprio in quei giorni. 
Realtà o leggenda perciò? Diciamo subito che Matteo Filippo Caldani è esistito veramente, non si legge però da nessuna parte (nelle sue biografie per così dire ufficiali) che egli fosse un brigante. Si dice che era un nobile veronese, nato nella città scaligera nel 1573, studiò lettere a Padova, passò poi da Roma e dopo la precoce morte dei genitori cominciò il suo girovagare per l'Italia. Attraversando la Garfagnana e fermandosi successivamente in Lunigiana- gli venne veduto il monte San Giorgio, verso Pizzo di Uccello, un oratorio, sopra quale avanzava un poco di campanile-. A Monzone il Caldani conosceva il notaio Prosperi, il quale intercesse per lui  con il vescovo di Luni per potersi ritirare come eremita sul monte in questione. Detto fatto il 20 agosto 1604 Caldani iniziò la sua vita monastica, riportò a nuova vita l'eremo e nel 1606 fu ordinato sacerdote. Nel 1609 Papa Paolo V concesse indulgenze ai pellegrini che salivano fino all'eremo di San Giorgio.Infine nel 1668 Frà Matteo Filippo Caldani morì dopo una lunga e devota vita.

La leggenda come si può vedere si fonde nella realtà e per conoscere la verità la miglior soluzione è forse prendere un po' dell'una e un po' dell'altra. A mio avviso Matteo Filippo Caldani fu veramente un brigante, può darsi non dei peggiori e nemmeno probabilmente era a capo di una banda. Tanto meno credibile può essere la storia della trota pescata, magari si può pensare che un pentimento ci sia stato veramente, d'altronde l'essere umano è fatto di carne e di spirito. Si può inoltre dedurre secondo le (brutte) consuetudini del tempo che per sfuggire alle grinfie dei soldati ducali e alla prigione era buona soluzione per i malandrini mettersi sotto le gonne di Santa
I ruderi dell'eremo di San Giorgio
Romana Chiesa e piuttosto che viver galeotto era meglio campar da frate. Non si discute poi come detto che con il tempo non si fosse ravveduto e una volta ravveduto e tornato sulla retta via forse tornava male agli agiografi di allora far sapere che tale pio uomo in gioventù fosse stato un poco di buono, si poteva perdere di credibilità, pensare che la Chiesa fra le sue schiere nascondesse dei farabutti non è e non era buona cosa oggi come allora, ed ecco pertanto che nasce la leggenda, il racconto o la saga per spargere fumo su quella che forse una volta era la verità.

Questa è la modesta opinione di chi vi scrive, perchè come ebbe a dire il filosofo Blaise Pascal nel 1670: - L'opinione è la regina del mondo!-.





Bibliografia:

  • Escursioni Apuane rubrica condotta da Fabio Frigeri

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